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lunedì 12 maggio 2014

Intervista a Andrej Slavko Mašera

AUDIO  (Registrazione integrale originale senza editing)


Andrej Slavko Mašera - Caporetto

1995.01a  - 14 agosto 1995


[…] 
- Parla così bene l’italiano perché… 
Studiavo a Bologna.
- Lei è nato qui? [palazzo in cui ora è ospitato il Museo di Caporetto] 
Sì, qui, in questa casa, in questa camera. 
- Eravate proprietari? 
Proprietari. Quando è arrivato il terremoto del 1976, ha sgangherato tutta la casa ed è stato deciso di demolirla. Allora si è trovato un’architetta che capiva qualche cosa e ha detto: “Questa casa è unica, nella valle d’Isonzo. Non si può distruggere; si deve riparare”.
Mio fratello, sua moglie e i suoi nipoti non avevano tanti soldi. Sono 600 metri quadrati di tetto e loro hanno costruito un’altra casa … 
02:58  A me interessa soprattutto il periodo di Caporetto, ma prima mi dica la sua data di nascita e il suo nome. 
23.6.1906, Andrea Mašera. 
- E Slavko è il soprannome? 
Mia mamma voleva Slavko. Quando m’hanno portato in chiesa a battezzare, il prete ha detto: “Cosa, questi nomi moderni? Il nonno è Andrea, il bisnonno Andrea, anche questo sarà Andrea”. E così m’hanno dato il nome Andrea, ma mai mia mamma mi ha chiamato Andrea.
Mi sono laureato in chimica a Bologna. Lavoravo nell’industria: 42 anni, più o meno, sempre nell’industria degli oli. Ho cominciato a lavorare in uno stabilimento di colori, e lì la base è l’olio, poi ho cambiato e sono andato a Dubrovnik ed ero direttore di un oleificio. 
- Era sotto l’Italia? 
No, sotto la Jugoslavia. […]
Appena scoppiata la guerra, lei si ricorda…
Sì, ricordo quando sono arrivati gli italiani: i bersaglieri, erano. Ero bambino, dieci anni.
Era il 23 di maggio [1915] verso le dieci, mi pare. La caserma era qua vicino a noi. Hanno suonato l’allarme. Noi non sapevamo cosa fosse l’allarme, questo suono. Invece arriva mio padre, qui in cucina e dice: questo è allarme, vuol dire che qualche cosa è successo. E allora uno si è incamminato verso la caserma che è qui a 100 metri di distanza. Diceva: “L’Italia ha dichiarato la guerra all’Austria.
Oh, confusione! Gente che cominciava a piangere, cosa succederà …
Il 23 con calma andiamo a dormire; il 24 attendiamo che arrivino le truppe italiane: non si vedono. Se fossero stati svelti avrebbero potuto prendere nel sonno tutti i soldati austriaci; ma erano ben pochi, erano quelli territoriali. Il 24 non c’erano e sono arrivati solo il 25 maggio. 
- Avevo letto che erano arrivati già il 24.
08: 11 Laggiù a Idrsko sono arrivati, ma non a Caporetto. 
- È sicuro? 
Possiamo controllare questa data, può darsi che sbagli.
Sono davanti alla casa con mio padre e vedo … e dico “Padre: donne in bicicletta”. “No, dice mio padre, sono soldati italiani”.
Erano i bersaglieri con i cappelli! Io non avevo mai visto una cosa simile. 
- Come si chiamava suo papà? 
Alberto. Aveva capito che cominciava la guerra.
Pian pianino sono andati su, verso il ponte. Hanno visto che il ponte era distrutto, il cosiddetto “Ponte di Napoleone”, che non è effettivamente di Napoleone, perché è stato costruito da questa gente qui… 
- All’epoca, magari, di Napoleone. 
Prima! 
- Cosa avete fatto voi quando sono arrivati questi soldati. Ha detto che c’era gente che piangeva… 
Niente, siamo rimasti. La gente era preoccupata, aveva paura che succedesse qualche cosa. Invece non è successo niente di grave. 
- Come si sono comportati, quando sono venuti qua, i soldati italiani? 
Mah, i soldati italiani… il comando vedeva dappertutto spie. Così hanno arrestato qualcheduno, senza motivo e senza grandi conseguenze. 
- La vostra famiglia è rimasta? 
Noi siamo rimasti qui. 
- Altri del paese, invece, sono scappati? 
No, no. 
- Ah, non ci sono stati profughi! 
No. Sono andati via due-tre impiegati dello stato, ma la gente è rimasta qui. 
- E così dopo si è fermato il fronte. 
Sì, si è fermato e la vita continuava. 
- Ma dov’era il fronte, esattamente? 
Là, dall’altra parte dell’Isonzo, sopra Dresenza, Monte Nero, Monte Rosso, Sleme. 
- Quanto lontano da qui, dal centro. 
Poco. Dresenza sono 5 km […] è un paese abbastanza grosso, c'ha una chiesa molto grande; se avete tempo si può andarci, da lì si può vedere molto meglio.
Il fronte si è stabilito, qui era fronte stazionario. 
- Non si sentiva sparare? 
Sì, quando il tempo era buono e spirava il vento dal fronte allora si sentivano i colpi. 
- Ma la gente non è scappata. 
12:52 No, no. La gente è stata sgomberata da tutti i paesi della riva sinistra [dell’Isonzo]. Dalla destra è stato sgomberato Saga - Žaga, Serpenizza, Idrsko, e giù, verso Tolmino non ci sono paesi fino a Volzana - Volče. 
- E questi dove sono stati mandati? 
In parte qui su a Breginj - Bergogna, paese ancora in territorio austriaco, e in parte sono andati giù in Italia, in diversi luoghi. 
- E come mai, parte in Austria e parte in Italia… 
Mah! Perché hanno visto che non c’era più posto, io credo; questi erano paesi piccoli, non potevano accettare [altra gente]. 
- Sono stati gli italiani a sgomberarli. 
Sì, da questi paesi sono stati sgomberati dalle forze italiane 
- Invece sulla sinistra Isonzo sono stati sgomberati dagli austriaci? 
Sulla sinistra sono pochi paesi e per dire la verità tutti  i paese sulla sinistra sono stati sgomberati verso l’Italia. L’Austria è andata su sulle montagne… 
- Quando è venuto lo sgombero, qui a Caporetto? 
Pochi giorni dopo. 
- Anche voi, allora. 
No. Caporetto no. Caporetto era il primo paese con gli abitanti civili rimasti. 
- La vita funzionava. Andavate anche a scuola. 
Per molto tempo non c’era la scuola, i bambini erano lasciati più o meno alla strada. Poi, più tardi, un anno e mezzo dopo l’occupazione hanno formato delle scuole, e allora si andava.  [Era] per tenere questi bambini concentrati , che non andassero nel pericolo, per non dare fastidio ai soldati. 
- E a scuola, con la lingua, come facevate? 
Parlavano in italiano e non si capiva niente! Perché qui nessuno capiva una parola di italiano. Mio padre parlava due tre parole italiane, non so dove le avesse imparate.
- Cioè non esiste una minoranza italiana, qui. 
No, qui non esiste una minoranza italiana. Qui sono sloveni e non c’erano italiani. 
- Quindi la scuola era una scuola per modo di dire. 
16:43 È stata una scuola per modo di dire, per tenere i bambini radunati. Avevo un simpatico maestro. Si ingegnava di farsi capire qualcosa. Poi c’era una maestra … 
- Quanti erano questi bambini che andavano a scuola? 
È una domanda difficile, io credo una cinquantina, di sicuro. 
- Dov’erano le scuole? 
Giù in piazza … ma questa scuola è stata distrutta, era proprio dietro alla chiesa, dove ci sono i fruttivendoli, un pochettino più in là. 
- Così avete continuato a vivere normalmente. 
Sì. 
- Ma portavano anche un po’ di soldi, questi soldati italiani, chi aveva un negozio stava bene. 
Hanno aperto ad ogni seconda porta un piccolo caffè, ma alle 8 di sera era coprifuoco e si doveva chiudere. Erano chissà quante migliaia di soldati, dovevano aprire.. i soldati avevano un po’ di soldi 
- Quindi la popolazione di Caporetto è stata bene, per i soldi. 
Sì, io credo che la gente viveva discretamente, non c’era miseria, durante la guerra. Qualche donna lavava. Nelle case dormivano gli ufficiali, qualche lira cadeva… Io, per dire la verità, credo che durante il periodo della guerra non è stato male
- A casa vostra c’erano dei soldati? 
Non c’erano. Noi avevamo un negozio […] di generi alimentari.
Insomma non è che la popolazione si ribellasse a questi soldati.
No. La gente è stata tranquilla. Solo dicevano “vogliono commerciare questi grandi popoli con questa terra… Perché hanno detto all’Italia prenderete questa terra ma dovete andar con noi in guerra contro l’Austria. L’Austria è stata stupida a non voler dare questa terra […] 
Qui non si trattava di fare un esodo della popolazione. Questo è solo che… lo stato italiano pretendeva di aver diritto a questa terra. Invece io credo che non aveva diritto. Non parlavano italiano. 
22:27 Già che parliamo di questa cosa, io… pensiero personale, che gli italiani, soldati, i quali sono venuti qui, si sentivano ingannati. Perché dicevano: “Andiamo a liberare i nostri fratelli”, invece quando parlava con me non ci si capiva. Allora io penso che i soldati erano ingannati … perché prima di entrare in guerra in Italia era una grande propaganda per la liberazione di questa popolazione italiana. Invece quando sono arrivati qui … “Dove sono questi nostri fratelli?”. Ha capito? Perché anche il soldato, non è stupido… è più intelligente dei generali.
Dicevano “Andiamo a liberare”, ma cosa sono venuti a fare qui? 
- Però non è che si comportassero male, come soldati, nei confronti di qualcuno di voi… con le donne… 
Con tanti soldati, con tanta gioventù, quello non si può mai… si deve guardare così…
[Decimazione di Idrsko / Idresca, Alto Isonzo - Prima guerra mondiale]
24:19 [Gli italiani] erano ossessionati dal pensiero che fossero tutti spie. E così è successo qui giù a Smast un malinteso. Hanno sparato ai soldati, hanno detto “Eh, sono spie”. Hanno prelevato delle persone e allora hanno contato “uno, due, tre … dieci”: fuori! - E sei sette [sono stati fucilati]. 
- In che paese esatto, questo? 
Smast, Kamno. Da questi due paesi hanno prelevato. 
- In che periodo? 
All’inizio. 
- E la popolazione, cosa ha detto? 
Un pochettino si è depressa, nessuno se l’aspettava. E poi hanno costatato che non corrispondeva alla verità.
Io conoscevo uno che era lì, fra quei sei, e quando me lo racconta dice: un ufficiale mi guarda e mi fa così sulla faccia… dice “tu sei troppo giovane, via!”… aveva 15, 16 anni. Dopo hanno preso un altro.
Lo conoscevo ma non ricordo come si chiamasse … se lo rintraccio glielo comunicherò. 
- A  parte questo episodio, altre cose sono successe contro la popolazione?   
28:20 È stato internato mio padre, ma non ha mai detto perché. Chi lo sa? Lui non è stato giudicato, solo l’hanno obbligato di andare a Cuneo. Una bella città!
Siamo andati anche noi, dopo, quando è stato bombardato Caporetto, la mamma ha detto: “Il padre è a Cuneo, andiamo là anche noi”. 
- Vi è rimasto per tanto tempo? 
È venuto a casa due-tre mesi prima dell’offensiva. 
- Definitivamente? 
Sì. Libero.
- Ma il motivo per cui fu internato? 
Non si è mai saputo. A Cuneo era libero come un signore. 
- Aveva soldi, allora! 
Sì. E non riceveva quel minimo che avrebbe dovuto percepire di sussidio, vedevano che non ne aveva bisogno. Siamo rimasti lì a Cuneo un cinque mesi. Poi quando ci hanno scritto che tutto era quieto, che non bombardano più, siamo ritornati 
-  Quando c’è stata l’offensiva voi eravate qui? 
Eravamo qui.
- Che cosa ricorda? 
Ricordo benissimo. Quella notte noi siamo andati a dormire, in questa casa [dove ora c’è il museo]. E qui da noi viveva un maggiore d’artiglieria. Verso le due noi sentiamo un rumore, su , in questa sala, e lui viene a picchiare sulla porta dove dormiamo noi e dice: “Comincia l’offensiva, andate via, perché Caporetto sarà bombardata ”.
Noi abbiamo i cavalli…    31:45  Fine lato A della prima cassetta. (Trascrizione integrale ex novo, 12 maggio 2014)

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